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Mercoledì, 03 Ottobre 2012 11:44

LE MEMORIE DI ALFREDO VARRIALE

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LE MEMORIE DI ALFREDO VARRIALE
 
Sono del ’33, e ricordo bene quei famigerati giorni quando gli aerei anglo-americani passavano appesantiti dalle bombe per Salerno per dirigersi a Napoli.
Ero un ragazzino di dieci anni ed ero uso a contare gli aerei delle varie squadriglie. Si, quegli aerei andavano a Napoli per bombardarla, e tutti noi lo sapevamo, tanto è vero che mio padre che era napoletano, essendo preoccupato per la sorte dei propri stretti parenti che vivevano a Napoli, ebbe la tentazione di andarli a trovare per verificare se fossero rimasti incolumi dai numerosi bombardamenti. Ma il caso volle che proprio lui si salvò la vita per miracolo perché, avendo sentito la sirena d’allarme che preannunciava l’arrivo di aerei nemici, si precipitò ad occupare un posto in un più vicino rifugio antiaereo . Così, dopo le prime bombe, uscì dal rifugio per correre dai suoi parenti al Vasto e al Vomero .. Dopo pochi minuti giunse un’altra squadriglia , le cui bombe colpirono in pieno il rifugio dov’era stato, pochi minuti prima, mio padre . In quel rifugio morirono quasi tutti.
 
Non mi stanco di raccontare che quando passavano gli aerei nemici per il cielo di Salerno li contavo ad uno ad uno. Fu proprio in una di queste occasioni che , nell’indimenticabile 21 giugno del 1943, mentre ero appena rientrato dalla scuola di via Roccacocchia di Pastena, sentii il solito rumore cupo di squadriglie di aerei. Mia madre , per sfamarmi un po’ , aveva preparato un’insalata di patate bollite con pomodori e cipolle tritate, senza pane, non vedevo l’ora di partire in attacco con la forchetta quando fui appunto distolto dall’arnese per precipitarmi fuori e contare i soliti quadrimotori. Volavano ad ala di rondine come il solito, ed io che abitavo a fronte strada nazionale a pian terreno uscii di corsa per non perdere la conta, anche mia madre , per paura , era postata sulla soglia della porta, quando, all’improvviso, caddero numerose bombe a pochissime centinaia di passi da casa nostra. Mia madre rimase impalata tra i due stipiti della porta che, per via dello spostamento d’aria , non aveva la forza di staccarsi . Le bombe caddero un po’ alla rinfusa e i danni non furono da poco.. Ci riunimmo in famiglia e , dopo qualche ora, ci nascondemmo sotto il ponte di pisciotta che era appunto dirimpetto alla vecchia caserma dei carabinieri che sta tra Pastena e Mercatello. Aspettavamo un’altra ondata di bombardamenti e non ci eravamo sbagliati. Tra noi si era rifugiato anche il maresciallo dei carabinieri il quale apparve più pauroso di noi . Passata quella temibile giornata, decidemmo di trascorrere , assieme ad un’altra famiglia, la notte sotto gli agrumi in una terra nei pressi di Mercatello ,di proprietà di una certa Gesualda che conosceva mia madre per poi darci da fare l’indomani mattina.
Era una notte di luna piena e noi ci sistemammo sotto gli alberi di mandarini. Le donne si ficcarono addosso le coperte scure e gli uomini, fumando qualche spinello di tabacco, ragionavano del più e del meno e per decidere dove sfollare l’indomani mattina, .
In quel momento sorvolò su di noi una squadriglia di aerei da combattimento nemica che, avendoci notato dall’alto, anche per via delle sigarette accese, e , forse, scambiandoci per militari, tornò indietro uno degli aerei e ci mitragliò. I colpi di mitraglia passarono a pochi centimetri dal mio corpo, e devo dire che fui davvero graziato da Dio perché, per qualche centimetro in meno risparmiai la vita. 
… Quella notte del 21 giugno del 1943, sempre in sintonia con il vicinato, pensammo di sfollare in un luogo lontano in montagna. C’era un vicino di casa che possedeva un cavallo e conosceva abbastanza bene i paesi di montagna ; ci consigliò di sfollare a Prepezzano e che lui ci avrebbe aiutato a trasferire, col suo carretto, qualche nostro mobile, materassi e qualche utile arnese da cucina. Fummo tutti d’accordo .
La mattina seguente, alla prima luce dell’alba, caricammo sul carretto le poche cose e partimmo a piedi per Prepezzano, mentre la carretta ben carica procedeva in avanti. Dopo alcune ore di cammino arrivammo in quel paesino, stanchi e digiuni, e per giunta, sconcertati sul da farsi e dove sistemarci. Scaricammo quelle poche masserizie sul selciato e iniziammo a sondare la benevolenza o meno dei paesani. Tra questi vi fu uno che ci indicò un vecchio dirupo di una chiesa monasteriale di S.Antonio che era stato abbandonato, ci disse che era molto pericolante e che avrebbe potuto crollare da un momento all’altro, ma noi non avevamo altra scelta e, quindi, ringraziammo il "buon samaritano" per averci illuminato.
 
Alla mia famiglia spettò la stanza più "Panoramica", la quale aveva un balconcino cadente, da dove si poteva vedere una discreta insenatura di mare…Mio padre era fotografo con macchina fotografica col tre piedi a sviluppo istantaneo come si usava allora (ancor’oggi si ricordano di lui per i suoi lavori artistici, e per le sue belle fotografie fatte con una mano nel manichino che si immetteva in una cassetta di legno come camera oscura da dove uscivano splendidi ricordi duraturi..grazie alla sua arte di immortalare gli eventi, ogni tanto lo chiamavano per avere una foto ricordo di un loro parente morto e di averne anche l’ingrandimento da incorniciare. Grazie al povero morto si riusciva , almeno per qualche giorno, di " accendere la fornace…" , ma ciò non toglie il fatto che in quel paese facemmo veramente la fame.
 
… ricordo che un giorno, quando si seppe che un mulino di grano a Salerno era stato bombardato, si mise in marcia mio fratello Gennaro di diciannove anni, mingherlino e leggero, per recarsi a quel sito per constatare se gli fosse stato possibile di racimolare qualche sacchetto di grano, cosa che gli fu impossibile perché il mulino era stato già " passato al setaccio" da una valanga di gente affamata prima di lui. , tuttavia ebbe la saggezza e la sagacia di riempire comunque il suo sacco di frantumi di pitre dove si annidavano ancora vari chicchi di grano. Tornò a Prepezzano di sera avanzata con quel sacco pesante sulle spalla, esaurito e stanco da morire. Svuotammo subito il sacco per iniziare la famigerata cernita. Risultato: un chilo e mezzo di grano. Ora restava il problema di come macinarlo, alla fine i miei genitori optarono di usare il macina caffé, (meglio dire macina orzo perché di caffé in quei tempi non se ne sentiva neanche l’odore).
 
Ovviamente non si ebbe buona farina, ma in compenso mia madre ne ricavò discrete tagliatelle, che mise a cuocere in una caldaia con il fuoco a legno nell’aia del monastero. Apriti cielo! L’aia fu subito invasa dagl’ inquilini di quel rudere per ottenere anche loro l’assaggio delle tagliatelle. A noi restò solo il brodo e qualche spezzone di quelle specie di tagliatelle.
 
In cielo iniziarono i primi scontri tra caccia nemiche e quelle dei futuri alleati. Rammento che un caccia venne abbattuto in combattimento e i resti del corpo del pilota donna furono trovati sparpagliati nei nostri pressi.
 
Intanto, due tedeschi si erano posizionati proprio davanti al monastero, laddove si vedeva l’insenatura di mare, a quel punto gli uomini dovettero nascondersi per timore di essere deportati in Germania. Durante lo sbarco i due tedeschi iniziarono a sparare in direzione del mare con i loro cannoni portatili, ma quando arrivarono colpi di cannone di risposta, i due tedeschi si abbandonarono il luogo e se ne andarono altrove. .
 
La notte dello sbarco a Salerno fu davvero uno spettacolo spaventoso. Vedevamo dalla nostra finestra del monastero ,dov’eravamo sfollati a Prepezzano ,migliaia e migliaia di fiammelle di spari. Una miriadi di piccole "lucciole" che si muovevano in ogni direzione, e quella massa di fuoco sembrava infinita e interminabile.
 
Nei giorni seguenti sapemmo che i futuri alleati erano riusciti a sbarcare con i loro zatteroni ed avanzavano sulla terra ferma, combattendo il nemico con tutti i mezzi che avevano e che sfidavano l‘avversario anche a corpo a corpo con le baionette.
 
Noi ragazzi non capivamo l’importanza del momento storico che stavamo attraversando, e che la guerra stava sterminando la migliore gioventù del mondo di quel tempo, oltre alla immane desolazione e pianto di milioni di famiglie che avevano perso il proprio figlio in combattimento, e non ha senso fare paragoni se, i poveri figli morti in guerra, fossero o meno nostri alleati. Essi lottavano perché erano stati comandati di farlo e, così facendo, onoravano la propria Patria, pur a costo di perdere la vita, ma capivamo solamente la grande fame che ci rodeva gl’intestini, tanto che un giorno, io ed altri ragazzi, eravamo entrati in una campagna, apparentemente abbandonata, per cogliere dei fichi da una pianta, il cui tronco era cresciuto in direzione orizzontale, non avevamo avuto neanche il tempo di assaggiare un frutto che vedemmo passarci di striscio una grossa accetta che ci aveva lanciato il proprietario del terreno. Quell’uomo crudele per un pelo non ci colpi con l’accetta.
 
Non è facile far capire alle nuove generazioni cos’era la vita di allora per noi ragazzi. Non intendono neanche ascoltare le lagne di chi fu bimbo come loro e che non ebbe nulla, dico nulla dalla vita se non fatica, fame, miseria e privi anche di istruzione scolastica, oltre al freddo gelido di allora, quando non si aveva neanche la legna o la carbonella d’accendere per il semplice fatto che non si avevano i soldi per comprarla. Dov’erano le comodità di Oggi? Neanche i più ricchi di allora avevano quello che ha ora la famiglia più disagiata!
 
Vi è gente che compra chili di pane per poi gettarlo nella spazzatura perché non lo si è mangiato, sprechi infiniti di ogni sorta di cosa. Sulle strade si notano, talvolta, mucchi di mobili seminuovi, lavatrici, televisori, frigoriferi ecc. aggiustabili, ma il gusto del comprare sempre di meglio e di nuovo li rende frenetici e intolleranti.
 
Quel giorno, noi ragazzi, tornando a casa, c’imbattemmo con una camionetta tedesca che batteva in ritirata, dirigendosi verso il vicino paese di montagna San Cipriano, ma dieci minuti dopo ne passò un’altra guidata da inglesi, i quali domandarono proprio a noi ragazzi , facendosi capire, se avessimo visto passare dei tedeschi, ovviamente dicemmo di si.
 
Alcuni giorni dopo,io e mia madre scendemmo a piedi a Salerno (circa venti chilometri) per verificare se la nostra casa fosse rimasta illesa e se era il caso di rimanerci. Mi ero costruito un pezzo di legno sistemandoci sotto quattro cuscinetti a palline e davanti un piccolo pezzo di legno con al centro un foro dove infilarci un perno in modo da farlo funzionare da manubrio, con quell’oggetto che lo si chiamava (carruocciolo", condussi a Pastena alcuni suppellettili che , durante lo sfollamento avevamo portato a Prepezzano. Strada facendo, specialmente dopo un sito chiamato "Il Ponte del Mulinello" iniziammo a notare ciò che restava dopo gli scontri frontali avvenuti tra nemici ed alleati che sicuramente furono sconvolgenti e, a dir poco, catastrofici, distruttivi e terribilmente sanguinari, ma pur sempre leggendari.
 
Ad un paio di chilometri prima di arrivare alla frazione di Fuorni in una terra a fronte strada s’erano accampati alcuni soldati alleati. Io,, come il solito , avevo tanta fame e decisi di lasciare a terra sulla strada quel pesante "carruocciolo" e di andare di corsa verso quei soldati, per dire: "hello giò, gallet, caramell, cioccolat, sigaret"? I soldati si guardarono in faccia e si misero a ridere come forsennati. Alla fine mi diedero una lattina con con un paia di gallette dentro ed un calcio nel sedere. Così finì finì la mia prima avventura con gli alleati.
 
A casa trovammo ogni cosa al proprio posto. L’unico inconveniente fu di vedere nell’aia di quel agglomerato di case un numero abbastanza nutrito di americani che si erano li acquarti. A me , personalmente, non importava un bel niente che si fossero messi li, anzi, iniziai a sudiare come fregarli.. Un giorno misero abollire in un fusto della portata di due quintali d’acqua una ventina di scatolette di carne ed altro. L’acqua era ancora fredda, mentre sotto il fusto brillava la fiamma dell’alcol solido in vasi di alluminio; l’americano si era assentato, così saltai nel fusto, presi rapidamente le scatolette e le porsi al mio compagno che mi aiutavae saltai tutto bagnato e come un grillo dal fusto e scappammo a gambe levate. Siccome non capivo l’inglese, non sono in grado di raccontare tutte le imprecazioni del soldato fregato da due bimbi. Pian pianino presi confidenza con i militari che erano accampati al "Rest camp", che era la retroguardia degli eserciti alleati in guerra, allestito a torre angellara, lato mare, distante un buon chilometro da Pastena e verso Sud . Gli vendovo alcuni tipi di frutta di stagione che andavo a comprare in una campagna vicina, comprese le ciliegie che arrotolavo in coppi di carta di giornele. I soldati ne andavano ghiotti , e se non avevano spiccioli mi pagavano con le sigarette , così imparai a comprarne più di un pacchetto per rivenderle ai fumatori italiani. Un giorno, un militare mi vendette una stecca di sigarette e dopo averlo pagato lo salutai e me ne andai. Non feci nemmeno una ventina di passi che mi rividi il soldato di fronte e con la striscia sul braccio M.P. (Militar Police). Si riprese le sigarette ed anche gli spiccioli che avevo in tasca. Fu davvero un farabutto ed un ladruncolo..
 
Ben presto iniziai a frequentare la quinta elementare . Non ero troppo bravo in italiano, ma in matematica ero un vero fenomeno, tanto è vero che durante gli esami la maestra mi fece uscire dall’aula perché tutti i ragazzi volevano copiare da me, ovviamente ebbi otto. Dopo la quinta dovetti piegarmi a lavorare per dare un aiuto ai genitori. Per tale motivo sono rimasto senza istruzione scolastica.
 
Alfredo Varriale
 
 
varriale
 
Colle Bellara (Masso della Signora) lunedì in albis del 1944. Alfredo è il primo a destra.
Ultima modifica il Sabato, 06 Ottobre 2012 19:39

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