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Categoria: ritrovamenti
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Lunedì, 25 Maggio 2015 17:24
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Scritto da Super User
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Aereo: Aereo da trasporto Bristol 170 Freighter SE-BNG 12792 di Scala
Nazionalità: Svedese
Precipitato: 18 novembre 1947
Località: 16 km nord-est Salerno
Osservazioni: Identificazione confermata
Questa storia inizia col ritrovamento di uno strano bottone recante una stella al centro e delle saette che si irradiano da essa. Esso è stato rinvenuto alcuni anni or sono in una zona dei monti Lattari che, durante i giorni dello sbarco a Salerno, fu teatro di combattimenti fra le truppe tedesche e americane. Una breve ricerca in internet ha rivelato che il bottone apparteneva alla divisa in dotazione agli operatori radiotelegrafonici della Svezia. Cosa ci faceva un tecnico svedese da quelle parti? Era schierato con qualcuno degli eserciti che combatterono lì nel settembre del 1943? Oppure quel bottone, appartenendo ad un civile, non aveva alcuna relazione con l'operazione Avalanche? Per molto tempo queste domande sono rimaste senza risposta.
A distanza di anni una possibile spiegazione è venuta fuori leggendo un episodio riportato da Angelo Tajani nel suo libro di memorie Il monello di Amalfi. L'autore racconta con dovizia di particolari gli anni della sua infanzia a cavallo fra la seconda guerra mondiale e il dopoguerra. Un capitolo in particolare sembra creare un collegamento con lo strano bottone svedese. Lasciamo che sia Tajani stesso a raccontare la vicenda mediante le pagine del suo libro che gentilmente ci ha messo a disposizione. Un capitolo è intitolato “Il disastro aereo di Scala” e in esso si legge:
“Seduto al tavolo di cucina, stavo facendo i compiti. Ero assorto nella composizione di un tema assegnatoci dall'insegnante di prima media, quando il rombo di un aereo che volava a bassissima quota mi fece accorrere in terrazza. Erano da poco passate le quattro del pomeriggio di martedì 18 novembre 1947. La giornata era piovosa, e le nuvole entravano dal mare molto basse; ricordo che non si vedeva nemmeno la torre di Tabor, situata proprio di fronte a casa nostra, sull'altro versante del paese. Riuscivo a percepire il rumore dell'aereo che in quel momento passava sopra la mia testa: sembrava irregolare, quasi che i motori ronzassero, arrancando, per poi perdere ritmo e potenza.
Per quanto mi sforzassi di localizzarlo, non riuscivo a discernerne la sagoma tra la fitta coltre di nubi. Eppure sentivo che l'aereo non poteva essere troppo in alto perché il frastuono del motore, amplificato dalle pareti della montagna, era divenuto quasi assordante. Cercai di attirare l'attenzione della vecchia zia Maria, l'unica persona che si trovava in casa in quel momento, ma la santa donna era talmente dura d'orecchi che disse di non sentire alcun rumore. Durante la mattinata c'era stata una di quelle mareggiate eccezionali che di tanto in tanto si scatenano ad Amalfi quando in autunno soffia il libeccio. Le onde del mare in burrasca, battendo contro la scogliera, arrivavano a lambire le case a strapiombo in cima al rione Capo di Croce. Usciti da scuola, avevamo deciso di organizzare la sfida abituale in giornate di mare grosso, uno dei passatempi che ci tenevano impegnati e rendevano un po' meno noiosi i mesi invernali. La competizione consisteva nell'evitare di essere bagnati dalla cascata d'acqua che ricadeva con violenza dopo aver lambito le case più alte del rione. Bisognava attraversare di corsa la curva del tondo Volpe, dopo che l'onda si era infranta contro le rocce spumeggiando verso altezze vertiginose, e mettersi in salvo dalla parte opposta prima che la massa scrosciante si rovesciasse sulla strada carrozzabile.
Proprio quando era arrivato il mio turno, l'onda venne frenata dalla risacca, e io ne fui inzuppato dalla testa ai piedi. La mia apparizione sulla soglia di casa aveva suscitato l'ilarità dei fratelli e la disperazione di mamma che paventava una broncopolmonite, timore che però non mi evitò lo scappellotto di prammatica. Di conseguenza fui costretto a rimanere in casa per punizione, con la raccomandazione di starmene ben cautelato. Fu così che mi trovai a essere testimone inconsapevole del disastro aereo di Scala. Nessun altro in famiglia aveva fatto caso al rombo dell'aereo. Fu solo in serata, mentre stavamo cenando, che arrivò in paese la notizia della sciagura: un aereo era precipitato sulle montagne di Scala, a poca distanza da Santa Maria dei Monti. Il paese fu percorso da un viavai di autoveicoli che venivano a prelevare i carabinieri e un medico che potesse soccorrere gli eventuali sopravvissuti.
Al mattino, appena sceso in piazza, incontrai Bonaventura e Matteo, i miei compagni di classe; senza pensarci su due volte, decidemmo di marinare la scuola e andare a fare un sopralluogo. Salimmo lungo la scalinata che dalla Valle dei Mulini raggiunge il villaggio di Pontone, per poi proseguire fino a Minuta. Dopo una breve sosta, raccolte alcune arance nel giardino dei genitori di Bonaventura, proseguimmo in direzione di Santa Maria dei Monti, meta abituale delle scampagnate degli abitanti delle località costiere durante la pasquetta e nei mesi torridi, quando si va su per le alture della Costiera in cerca di un po' di frescura. Poco dopo Minuta, fummo bloccati da una pattuglia di carabinieri che impediva l'accesso ai curiosi. Così cambiammo itinerario e andammo a Scala. Avvicinati alcuni conoscenti, riuscimmo a sapere che a bordo dell'aereo precipitato c'erano dei giovani ufficiali svedesi, morti quasi tutti, e che la zona della sciagura era disseminata di rottami, oggetti personali e corpi dilaniati. I primi ad accorrere erano stati quattro pastori di Scala, che in quel momento pascolavano il gregge a poca distanza. Erano stati loro a dare l'allarme e a portare i primi soccorsi ai feriti, ospitando i sopravvissuti in una capanna. Due dei superstiti, ancora in stato di shock, fumarono una sigaretta e bevvero un bicchiere di vino. Gli ufficiali dell'aeronautica militare svedese che si trovavano a bordo del Bristol Freighter, un bimotore di fabbricazione britannica, rientravano da Addis Abeba dopo avere consegnato all'aviazione del negus sedici cacciabombardieri Saab B-17, apparecchi in via di sostituzione nell'aviazione militare svedese. Il comandante dell'apparecchio era il capitano Nils Werner, coadiuvato dal secondo pilota, capitano Bo Menotti, di origine italiana, dal meccanico Einar Andersson e dal radiotelegrafista Carl Wallin.
L'aereo, decollato dalla capitale etiopica lunedì 16 novembre, era rimasto fermo per la notte a Tobruk, da dove era ripartito nella mattinata del giorno successivo. Sulla rotta per Roma aveva fatto uno scalo tecnico a Catania, per un rifornimento di carburante, e stava proseguendo alla volta dell'aeroporto di Ciampino dove i passeggeri avrebbero dovuto trascorrere la notte in albergo prima di riprendere il volo per la Svezia il giorno successivo. Dopo la partenza da Roma, avrebbe dovuto effettuare scali intermedi a Zurigo, Amsterdam e Malmö e arrivare a Stoccolma nel pomeriggio di giovedì 20 novembre. Secondo le prime testimonianze raccolte, subito dopo la sciagura si era diffusa la notizia che il Bristol Freighter aveva avuto problemi ad uno dei due motori. Qualche giornale aveva scritto che si era perfino fermato mentre si stava avvicinando alla costiera amalfitana. Qualcuno sosteneva che il comandante Werner, per tentare un atterraggio di fortuna, avrebbe deciso di sorvolare Cetara per raggiungere la pianura dell'agro nocerino. Ma a causa del maltempo e della nebbia l'aereo era stato deviato verso ponente e, dopo aver sorvolato Amalfi, era precipitato sul Monte del Carro.
Nell'impatto, l'aereo rimbalzò due volte, strisciò nella fitta boscaglia aprendo un solco di una cinquantina di metri tra i cespugli, si risollevò in aria e infine andò a schiantarsi a 800 metri di distanza dal punto in cui aveva urtato il suolo per la prima volta. I due pastori accorsi sul luogo della sciagura raccontarono di aver avvertito il rumore dei motori di un aereo che si avvicinava sempre più. Dopo poco avevano udito un boato che in un primo momento era stato scambiato per un tuono, dal momento che per tutta la giornata la pioggia era caduta senza sosta. Avevano poi sentito le grida di aiuto e si erano precipitati verso il punto da cui provenivano. Ecco il racconto fatto da uno dei quattro sopravvissuti, il ventisettenne tenente pilota Arne Magnusson: "Il viaggio da Addis Abeba era andato bene, fino a quando non abbiamo lasciato Catania. Già sullo stretto di Messina ci eravamo imbattuti in una nebbia fittissima, non si vedeva più di qualche metro fuori dalla cabina di pilotaggio. L'aereo ha volato per un paio di ore alla cieca e il comandante continuava a consultare le mappe, quasi cercasse disperatamente di trovare un riferimento in tutto quel buio.
L'impatto - continuava Magnusson - si è verificato senza alcun preavviso, ed è difficile poter stabilire se la collisione è stata provocata da una perdita di quota causata da vuoti d'aria oppure se il pilota aveva perso la rotta. L'aereo è precipitato di colpo. Ho sentito soltanto che qualcuno ha lanciato un'imprecazione poco prima dell'urto. Stavo sonnecchiando quando mi sono accorto che il carrello andava a sbattere contro le cime degli alberi. Devo aver perso i sensi oppure sarò rimasto stordito dall'impatto. Nel torpore riuscivo a percepire le grida di aiuto dei miei compagni, ma non potevo far nulla per soccorrerli." Il tenente Magnussson, che pure aveva riportato una commozione cerebrale che lo aveva parzialmente paralizzato, non perse mai i sensi. "Per qualche ora - continuava il pilota - ho cercato di alzarmi per aiutare i miei compagni che si lamentavano e chiedevano aiuto, ma avevo le braccia paralizzate. Chiedevano dell'acqua, ma né io né il maresciallo Paijkull che giaceva al mio fianco riuscimmo a muoverci. Pian piano le grida si affievolirono, alcuni non si lamentavano più, mentre noi cominciavamo a poterci muovere e a uscire dai rottami. Appena liberatici, siamo andati a tentoni in giro nella nebbia chiamando i compagni per nome. Alcuni di loro rispondevano, e ci avviavamo in quella direzione. Cercammo di aiutarli in tutti modi per farli uscire dai rottami, senza successo. Credo che per la maggior parte - concludeva mesto il tenente Magnusson - siano morti dissanguati."
Ascoltiamo il racconto di Ferdinando Bottone, all'epoca uno dei quattro giovani pastori che stavano pascolando il gregge sui monti, in una zona non molto distante dal luogo della sciagura: "Mi è rimasta impressa nella memoria la scena che si presentò ai miei occhi quando, dopo una corsa nella nebbia attraverso il bosco su per la china della montagna, raggiungemmo il luogo in cui si era schiantato l'aereo. Fu uno spettacolo orrendo. Per prima cosa cercammo eventuali sopravvissuti. Io, Luca Bottone, Nicola Giordano e una quarta persona di cui non riesco a ricordare il nome, ci avvicinammo alla carlinga dell'aereo inciampando in valigie, lamiere, rottami e oggetti sparsi tutt'intorno, e trovammo alcuni superstiti.
Li caricammo sulle spalle e li portammo a valle, attraversando la boscaglia per cercare riparo nella casupola della guardia forestale. Quando andammo a prendere l'ultimo dei feriti, uno dei miei compagni corse a dare l'allarme e a chiamare i soccorsi. Noi intanto accendemmo un fuoco nel rifugio per riscaldare quei cinque poveretti, offrimmo loro qualcosa da bere e, dopo avere constatato che le loro condizioni erano abbastanza buone, cominciammo a dialogare aiutandoci coi gesti. Vedendo che arrotolavo il tabacco per prepararmi una sigaretta, uno di loro mi fece intendere che a bordo dell'aereo ce n'erano cartoni pieni e che potevo prenderne quante ne volevo. Nel portare fuori i feriti dai rottami della carlinga avevo adocchiato alcune stecche di sigarette sparse per terra e mi ero accorto che erano imbrattate di sangue. Non ebbi il coraggio di dirglielo, e feci finta di non capire. Un'ora dopo - conclude Ferdinando Bottone - arrivarono i soccorritori e i carabinieri, i quali cominciarono a perlustrare la zona e a catalogare tutti gli oggetti che erano sparsi al suolo e venivano raccolti dagli abitanti di Scala, accorsi in gran numero."
Ma vediamo le impressioni riportate da uno dei più autorevoli quotidiani di Stoccolma, il Dagens Nyheter, che all'epoca aveva come corrispondente da Roma il leggendario Agne Hamrin, grande amico dell'Italia. "I carabinieri raggiunsero celermente il luogo della sciagura e furono messi di guardia ai rottami; in serata, nella stazione dell'arma a Ravello, erano stati già depositati i preziosi e gli oggetti di valore trovati dagli abitanti. Chi scrive - continua Hamrin - ha avuto l'impressione che le autorità italiane abbiano agito in modo ineccepibile ed encomiabile, con rapidità ed efficienza: un'ardua impresa, se si tiene conto delle difficoltà che hanno avuto i soccorritori per raggiungere il luogo della sciagura, situato a più di tre ore di cammino da Scala."
Il giorno dopo, nella cappella del cimitero del paese, le venti bare che contenevano i miseri resti dei giovani piloti erano state allineate in attesa di intraprendere l'ultimo viaggio. "Era il fior fiore dell'aeronautica svedese", scrivevano i giornali. "Così giovani e così alti", dicevano gli uomini di Scala che per tre ore li avevano portati sulle spalle giù dai monti nelle barelle improvvisate. "Così biondi e belli", commentavano commosse le donne coprendo i corpi straziati con le pelli di pecora più belle che possedevano, scrive l'Aftonbladet. "Quando sul luogo della sciagura sono arrivati i soccorsi da Salerno - scrive Hamrin - coordinati personalmente dal prefetto Giuseppe Cocozza, due medici, il dottor Raffaele Gambardella di Amalfi e il dottor Bonaventura Gambardella di Ravello, si trovavano già sul posto. I cinque sopravvissuti, dopo essere stati medicati, sono stati trasportati in autoambulanza a Salerno; nella serata di mercoledì, almeno otto delle salme erano già state portate giù a Scala, dove era stata allestita una camera ardente provvisoria. Oggi, giovedì pomeriggio - racconta ancora Agne Hamrin - ho visto il macabro corteo dei contadini che, in gruppi di quattro, portavano giù a spalla i resti delle vittime della terribile sciagura aerea avvenuta sulle montagne che sovrastano Amalfi. È stato uno spettacolo commovente. Le barelle erano primitive, fatte con fusti di alberelli e rami abbattuti a colpi d'ascia dalle mani callose degli agricoltori e legati insieme da cordicelle e rami di salice. I fardelli con i resti dei defunti erano coperti da pelli di pecora."
E l'Aftonbladet, il quotidiano della sera di Stoccolma, scrive: "Ora riposano nelle bare allineate all'esterno della piccola cappella, contornati dalle luci tremolanti delle candele, dai cipressi, dalle palme e dai cactus, all'ombra di pergolati da cui pendono grappoli d'uva. Il sole illumina con i suoi raggi gli uliveti di Ravello, la cittadina situata sulla parte opposta della vallata, tra terrazze di aranci e limoni. Qui il paesaggio è completamente diverso da quello che abbiamo visto su nella montagna dove il velivolo si è schiantato.
Lassù, a 1100 metri d'altezza, giace la coda della fusoliera, quasi intatta fra tutti quei rottami. Le venti vittime non avranno avuto alcun sentore di ciò che stava per accadere. I superstiti hanno raccontato infatti che, fino a qualche secondo prima dell'urto, non si erano accorti di nulla. I 317 abitanti di Scala sono persone buone e laboriose - continua l'inviato svedese - e, malgrado avessero lavorato sodo tutto il giorno, si sono messi subito e disinteressatamente a disposizione. Non vi sarà stato un solo abitante di questo paesino, giovane o vecchio, uomo, donna o bambino, che non abbia portato a spalla, dal luogo della sciagura lassù nei monti, un pesante fardello. Mentre i pastori si prendevano cura dei feriti, altri uomini aiutavano a comporre le salme; nel frattempo, le donne erano intente ad accumulare gli oggetti sparsi su una vastissima area per consegnarli ai carabinieri. Nella stazione di polizia di Ravello" continua l'Aftonbladet "venivano intanto sistemati ordinatamente gli effetti personali delle vittime. Si notavano fedi nuziali, portafogli sporchi di fanghiglia con l'intero contenuto, orologi, tre dei quali erano fermi alle 16.31. Sarà stata questa l'ora esatta in cui si è verificata la sciagura, due ore dopo l'ultimo contatto radio con la torre di controllo di Ciampino che aveva avuto luogo alle 14.33, ora di Greenwich, mentre l'aereo volava al largo della costa calabra. Non c'era bisogno di chiudere la porta della stanza" scrive il giornalista "perché a nessuno sarebbe passato per la mente di toccare quegli oggetti. Un simile gesto sarebbe stato ritenuto un sacrilegio da questa brava gente.
È forte la sensazione dello slancio con cui gli abitanti di Scala partecipano al dolore, percepito in modo inequivocabile dal visitatore svedese che attraversa le vie del villaggio. I colpi d'ascia si bloccano a mezz'aria, si fermano i carretti trainati dagli asini, i bambini s'inchinano mentre gli svedesi, quegli uomini dalla statura imponente, rispondono impacciati togliendosi il cappello. 'Saranno parenti - mormora la gente - poveretti...'"
"Gli abitanti di Scala hanno coperto le bare di fiori, mentre il comune di Amalfi - scrive lo Svenska Dagbladet - si è offerto di mettere a disposizione le bare occorrenti per il trasporto delle spoglie degli aviatori in Svezia."
Il 23 novembre, nell'ospedale di Salerno, dopo essere stato assistito amorevolmente dalla crocerossina - interprete Antonietta Ruocco, decedeva anche il meccanico Einar Andersson, uno dei cinque sopravvissuti. Saliva pertanto a ventuno vittime il tragico bilancio del disastro. Dopo una cerimonia funebre a Napoli, il 25 novembre le salme vennero trasportate da due DC-3 in Svezia. I funerali, a cui parteciparono soltanto i familiari e gli amici, i comandanti delle basi di provenienza delle vittime e il comandante supremo dell'aeronautica, si svolsero in un hangar nella base aerea di Barkaby, a nord di Stoccolma. L'officiante era il vescovo luterano della diocesi di Strängnäs, Gustav Aulén, che nella sciagura aveva perso un figlio, il capitano Gustav Einar di 33 anni. Anch'egli, come la maggior parte delle altre vittime, lasciava moglie e figli in tenerissima età.
C'è infine la questione del tesoro che sarebbe stato trovato sul luogo del disastro dagli abitanti di Scala. Personalmente ho sempre creduto che questo episodio fosse una fola, una di quelle leggende che abitualmente scaturiscono dalla fantasia quando si verificano avvenimenti eccezionali. "È vera la storia del forziere pieno di monete d'oro?" chiediamo a Ferdinando Bottone, oggi settantenne. Questa la sua risposta: "Mentre correvo verso il luogo del disastro, che era avvolto nella nebbia fittissima, con una visibilità limitata a qualche metro, ricordo di aver urtato con un piede una cassetta e stavo quasi per cadere. Sentii un tintinnio, ma non mi fermai per controllare il contenuto. Non ho mai sentito dire che siano stati trovati lingotti d'oro o monete." E invece la storia che tante volte avevo sentito raccontare fin da bambino era vera. Si diceva che un ignoto abitante di Scala, accorso in aiuto degli sventurati, dopo avere raccolto e rimesso nei cofanetti di metallo un ingente tesoro, vi si era seduto sopra fino all'arrivo dei carabinieri ai quali poi li aveva consegnati. Ne abbiamo trovato conferma sui giornali svedesi. "A differenza di Atene - scrive lo Svenska Dagbladet - qui non è stato rubato nulla." Pochi giorni prima della sciagura aerea di Scala, il 27 ottobre 1947, si era infatti verificato un incidente analogo ad Atene. Un aereo svedese proveniente da Istanbul e diretto a Stoccolma era andato a sbattere contro una montagna. Nella sciagura avevano perso la vita tutte le 44 persone che si trovavano a bordo, e sul monte Hymetto, dove l'aereo era precipitato, si erano verificati raccapriccianti episodi di sciacallaggio.
"I carabinieri - continua il quotidiano di Stoccolma - hanno organizzato un impeccabile servizio d'ordine sul luogo della sciagura, e tutto ciò che è stato rinvenuto dagli abitanti è stato consegnato agli agenti. Sono stati trovati orologi, monete e anelli d'oro. La popolazione di Scala ha collaborato compatta con gli agenti e i funzionari dell'Ambasciata svedese di Roma. Nella serata di mercoledì, poche ore dopo il disastro, sono state consegnate ai carabinieri due cassette di metallo contenenti gioielli, monete d'oro e un'ingente somma in sterline britanniche e dollari statunitensi." Nel riferire la medesima notizia, il Dagens Nyheter titola: "La gratitudine della Svezia per l'onestà dei pastori." "Quando l'aereo è precipitato al suolo, i due forzieri si erano aperti - riferisce il quotidiano svedese - e gli oggetti e le monete erano disseminate su una vasta superficie intorno al luogo del disastro. I soccorritori, però, sono riusciti a raccogliere tutto. Avevano poi riposto gli oggetti preziosi, il danaro e le monete d'oro negli scrigni che consegnarono ai carabinieri. Ai pastori e agli abitanti di Scala è stata espressa dai diplomatici svedesi della Reale Ambasciata di Svezia a Roma presenti alle operazioni di recupero la riconoscenza e l'apprezzamento del loro Paese per l'onestà dimostrata dalla popolazione. Dopo aver effettuato un controllo - conclude il giornalista - essi hanno constatato che nulla mancava dai due forzieri." L'aeronautica militare svedese, in segno di profonda gratitudine, elargì un sostanzioso contributo al Comune di Scala per la costruzione di un asilo, tuttora esistente, e una somma da devolvere ai soccorritori.”
Fin qui le informazioni contenute nel libro di Angelo Tajani. Com'è consuetudine dell'associazione Salerno 1943 abbiamo cercato un riscontro sul campo alla storia e grazie alla preziosa guida di Gioacchino Di Martino e Ricciotti Mansi, appassionati di storia locale e profondi conoscitori dei luoghi ci è stato facile raggiungere insieme anche a Giovanni Mormile, Pasquale Siano, Luigi Fortunato e Gigino Vitolo la zona del disastro.
Sul posto è stato eretto un monumento a ricordo delle vittime della sciagura. Esso però dista alcune decine di metri dal punto effettivo dell'impatto. La ricerca ha rivelato che l'aereo cominciò a urtare gli alberi appena superato il pianoro di Santa Maria dei Monti. Questo fece perdere velocità al velivolo ed evitò che si disintegrasse contro il terreno roccioso. Gli alberi infatti attutirono l'urto e fecero roteare di circa 180 gradi l'aereo rispetto alla direzione di volo provocandone lo schianto su un fianco della montagna.
Il Bristol 170 Freighter Mk. II SE-BNG 12792 (SE è la sigla per Svezia) della compagnia svedese AB Trafik-Turist-Transportflyg era un aereo da trasporto bimotore, monoplano ad ala alta, sviluppato dall'azienda aeronautica britannica Bristol Aeroplane Company verso la fine della seconda guerra mondiale. Questo tipo di aereo era caratterizzato dalla presenza di un ampio portellone da carico posizionato nella parte anteriore della fusoliera. Ottenne un buon successo commerciale, venendo impiegato sia nell'aviazione civile che in quella militare dal secondo dopoguerra e fino alla fine degli anni settanta. L'elemento innovativo per l'epoca era la presenza del portellone a valva che si apriva per scaricare o caricare veicoli leggeri e altri carichi ingombranti. I piloti erano alloggiati sulla sommità della fusoliera, con un'ottima visibilità. I motori erano due robusti Bristol Hercules sistemati sull'ala. Nonostante l'aspetto brutto e sgraziato, fu in grado di stabilire alcuni importanti record di efficienza, dimostrando che l'aspetto e la velocità massima, per un aereo da trasporto, non sono effettivamente importanti quanto altre caratteristiche. Benchè fosse un velivolo piuttosto rudimentale, nessun radar, nessun motore sofisticato o elementi strutturali avanzati, seppe farsi valere nel difficilissimo mercato degli aerei da trasporto postbellici.
La zona del disastro è cosparsa di piccoli frammenti di alluminio della fusoliera del Bristol Freighter e da innumerevoli cocci di vetro appartenenti a bottiglie che i passeggeri avevano evidentemente portato con sé come rifornimenti o souvenir dei posti dove erano stati. Anche alcuni oggetti personali come il coperchio di una confezione di grasso per calzature svedese o il bottone da polso dell'uniforme della marina di Svezia sono mute testimonianze della tragedia verificatasi nel 1947.
Ma chi erano le 21 vittime? Ecco i loro nomi: tecnico di volo Agren Sven Arvid, tecnico di bordo Nils Einar Anderson, cap. Erik Lennart Atlestam, cap. Gustaf Einar Hildebrand Aulen, ten. Bengtr Ragnar Bengtzon, serg. magg. Dan Georg Vincent Carlsson, serg. Stig Gusten Feldt, cap. Torsten Olof Franden, tecnico di volo Gosta Hammenfors, Nils Oskar Holm, ten. Bengt Magnus Landgren, navigatore Bo Menotti, ten. Per Elis Lennart Olsson, ten. Sven Olof Pehrson, ten. Olof Gothe Rapper, ten. MacRobert Walter, Robertson, elettricista Thelmer Per Gustaf Sixsten, serg. magg. Sien Sigurd Tillberg, radiotelegrafista Carl Johan Wallin, cap. Johan Eskil Westdhal, ten. Axel Ingvar Wange. I sopravvissuti furono 4 e cioè: ten. C. R. Gronberg, ten. S. Arne Magnusson, serg. magg. S. V. Paijkull, cap. Nils Werner.
In che modo questa vicenda può spiegare il ritrovamento del bottone menzionato all'inizio di questo articolo? Ebbene, il luogo dov'è stato rinvenuto dista solo pochi chilometri dal punto dell'impatto dell'aereo svedese. Fra l'altro a bordo del velivolo vi era un operatore radiotelegrafonico, Carl Johan Wallin. Una spiegazione potrebbe essere che un suo capo d'abbigliamento sia stato raccolto e riutilizzato da un pastore presente sul posto. Non dimentichiamo che in quegli anni l'Italia era appena venuta fuori da una disastrosa guerra e spesso scarseggiavano anche le cose più basilari come il cibo e il vestiario. Potrebbe in seguito aver perso il bottone su una vicina montagna durante una delle sue innumerevoli peregrinazioni per aver cura del gregge.
Hanno finora partecipato a questa ricerca: Gioacchino Di Martino, Luigi Fortunato, Ricciotti Mansi, Giovanni Mormile, Matteo Pierro, Pasquale Siano, Angelo Tajani, Gigino Vitolo.
Didascalie foto:
Il bottone della giubba da radiotelegrafista svedese.
L'imperatore Haile Selassie e il conte von Rosen ispezionano alcuni SAAB B17 venduti dalla Svezia nel secondo dopoguerra.
I SAAB B17 dell'aviazione svedese.
Il Bristol 170 Freighter Mk. II SE-BNG. Fonte: Svenskt Flyghistoriskt Forum, www.flyghistoria.org
La capiente stiva del Bristol Freighter. Fonte: Svenskt Flyghistoriskt Forum, www.flyghistoria.org.
Le foto degli aviatori svedesi sulla prima pagina del quotidiano Dagense Nyheter di Stoccolma. Cortesia Angelo Tajani.
Il relitto del Bristol Freighter dal settimanale svedese "SE". Cortesia Angelo Tajani.
I resti dell'aereo visti da un'altra angolazione.
Le barelle improvvisate e i soccorritori scalesi. Dal quotidiano Dagense Nyheter di Stoccolma. Cortesia Angelo Tajani.
Il trasporto a valle delle vittime.
Il punto dell'impatto oggi.
I ricercatori Giovanni Mormile, Gioacchino Di Martino, Luigi Fortunato e Pasquale Siano.
I ricercatori Ricciotti Mansi, Gigino Vitolo e Luigi Fortunato.
Frammenti in alluminio della fusoliera dell'aereo.
Alcuni dei numerosi frammenti di vetro recuperati sul crash site.
Fondo di bottiglia con data 1946
Frammento di bicchiere sul quale si legge: Deser… - 1 sked - 1 Tesked.
Targhetta con schema dell'impianto elettrico di un apparato del Bristol.
Coperchio di una scatola di grasso per calzature: Vaxkram for god skovard emulgerad VIKING.
Tubetti di dentifricio svedesi.
Parti in plastica. Su una si intravvedono i colori della Svezia blu e giallo.
Targhetta dell'indicatore di quota.
Bottone del polsino della giacca della marina svedese marcato Sporrong & Co., fermaglio da penna e monetina da 10 ore.
Il monumento eretto nei pressi del punto dove cadde l’aereo. Cortesia Pasquale Siano.